L’espressione latina Memento mori, che significa “ricorda che devi morire”, attraversa profondamente la spiritualità cristiana fin dai primi secoli.
Più che un ammonimento lugubre, rappresenta una meditazione sulla caducità della vita terrena e sull’urgenza di orientare l’esistenza verso ciò che non muore.
In epoca medievale, soprattutto con la diffusione del monachesimo e poi della spiritualità francescana, il memento mori diventa un elemento essenziale del pensiero cristiano, spesso associato all’idea della vanitas e alla consapevolezza che ogni gloria mondana è destinata a dissolversi.
Non si tratta però di una visione disperata: al contrario, ricordare la morte è un invito alla conversione, a vivere con pienezza e vigilanza, a non perdere tempo in ciò che è effimero.
In questo senso, la morte viene vista come passaggio e verità ultima, capace di ridare valore al presente e profondità alle scelte quotidiane.
L’arte cristiana, soprattutto a partire dal basso Medioevo, rappresenta questa riflessione in modo diretto: teschi, clessidre, ossa, figure scheletriche, ma anche santi eremiti e penitenti, diventano immagini ricorrenti nei capitelli, nei dipinti e nelle sculture.
Le tombe scolpite con la raffigurazione del defunto ridotto a scheletro, le danze macabre nei chiostri e nei cicli pittorici, le meditazioni sulla morte nei testi spirituali, tutto questo non aveva lo scopo di spaventare, ma di educare l’anima a non illudersi sull’apparenza.
Il memento mori è dunque un richiamo alla verità, una forma di sapienza spirituale che invita a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, nella prospettiva della vita eterna.
In molte chiese romaniche, ancora oggi, emergono segni di questa memoria scolpita nella pietra: figure che ammoniscono in silenzio, dettagli che parlano a chi sa guardare, simboli che ricordano al fedele la necessità di custodire l’interiorità e prepararsi all’incontro con Dio.
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Memento Mori - Brossasco (CN) - San Rocco
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