Il saggio esplora la varietà di guglie campanarie nell’architettura religiosa europea, evidenziandone significati simbolici e funzioni estetiche.
Dalle piramidali romaniche alle slanciate flèche gotiche, fino alle rare guglie a spirale, ogni tipologia riflette il contesto culturale e spirituale
della propria epoca.
Vengono analizzate anche le guglie a cipolla, diffuse in area alpina e bizantina, e quelle in stile delfinato, tipiche delle regioni montane.
Ampio spazio è dedicato al panorama piemontese e valdostano, dove prevalgono guglie semplici in lose o tegole, spesso affiancate da pinnacoli e lanterne.
L'autore sottolinea l’evoluzione dai campanili romanici alle strutture verticali gotiche, con attenzione a materiali, tecniche costruttive e adattamenti ambientali.
Le guglie sono lette come segnali verticali di fede e identità territoriale, testimoniando una continuità tra arte, spiritualità e paesaggio.
Il testo si chiude con una riflessione sul valore simbolico e visivo di queste strutture, che continuano a elevare lo sguardo e il pensiero umano verso il cielo.
L’articolo propone una lettura epigrafica e storico-artistica del fonte battesimale della parrocchiale di Bricherasio,
attribuendone la realizzazione originaria al 1409 su commissione di
Bernardino Cacherano, conte ereditario del luogo.
Un secondo intervento di restauro risale invece al 1513, voluto da un omonimo prevosto.
L'autore chiarisce un errore interpretativo sulla data d'origine, finora ritenuta del Cinquecento.
Le iscrizioni e i simboli scolpiti – armi, strumenti agricoli e motivi religiosi – testimoniano l’influenza del sistema feudale e della famiglia Cacherano,
oltre a suggerire un legame con i maestri lapicidi Zabreri.
La complessa iconografia, arricchita da
simboli come l’acciarino e la miccia, indica possibili riferimenti al lavoro agricolo e alla committenza nobiliare.
L'articolo confronta anche le genealogie dei Cacherano secondo due fonti storiche principali (Caffaro e Bollea), mettendo in luce incongruenze
e lacune documentarie dovute alla distruzione dell’archivio di famiglia.
Il fonte si configura quindi come archetipo stilistico e testimonianza precoce di maestranze itineranti nel tardo gotico piemontese.